La displasia dell’anca è una deformità articolare che ha inizio durante la vita intrauterina del bambino, ma continua a evolvere durante i primi anni di vita. Questa scoperta ha fatto abbandonare la vecchia definizione di “displasia congenita dell’anca” in favore di quella più corretta di “displasia evolutiva dell’anca“.
Il carattere distintivo di un’anca displasica alla nascita è l’instabilità, ovvero l’eccessiva lassità dell’articolazione che permette alla testa femorale di uscire e rientrare nella cavità acetabolare sotto l’azione di forze esterne (ad es. quelle esercitate da un ortopedico pediatrico nella visita del neonato). Se l’instabilità sfugge alla diagnosi e non viene trattata, con il passare dei mesi la testa femorale, sottoposta all’azione dei muscoli e poi del peso corporeo, perde gradualmente i rapporti con la sua sede naturale (il cotile) e risale verso l’alto, configurando una lussazione permanente dell’anca (un tempo detta “lussazione congenita”).
Chi ne è colpito dalla displasia?
La displasia è rarissima tra i neri e gli asiatici, mentre è un’affezione quasi esclusiva della razza bianca caucasica. In Italia, la pianura padana, l’Emilia e la Puglia sono i territori in cui si osserva la maggiore incidenza di displasia. Il sesso femminile è nettamente più interessato di quello maschile, probabilmente per l’effetto degli ormoni sessuali sullo sviluppo dell’articolazione.
Quali sono le cause della displasia?
Come per molte altre patologie, anche per la displasia dell’anca non esiste una causa determinante nota, esistono semmai diversi fattori di rischio che, combinandosi tra loro, possono portare alla comparsa dell’istabilità.
In particolare la lassità capsulo-legamentosa, condizione in gran parte geneticamente determinata e quindi con caratteristiche di familiarità, sembra essere un elemento chiave. Altro fattore è la posizione intrauterina del feto: una presentazione podalica a ginocchia estese sembra favorire la distensione abnorme della capsula articolare, predisponendo alla displasia. Infine la postura del neonato può influire sullo sviluppo della malattia: una posizione ad anche addotte ed estese (ovvero con le cosce unite tra loro e completamente distese) , come accadeva in passato con la tradzionale fasciatura del lattante, è pericolosa. L’avvento dei pannolini ha drasticamente ridotto l’incidenza di displasia.
Come si manifesta?
La displasia evolutiva si manifesta in modo differente nelle diverse età della vita. In particolare:
- Nel neonato: solo una vista ortopedica pediatrica permette di identificare la condizione di instabilità, che normalmente non produce segni o sintomi evidenti.
- Nel bambino che ancora non cammina: l’azione della muscolatura può avere già portato ad una lussazione parziale (sublussazione) o completa dell’articolazione. Questa si presenta con un accorciamento della coscia corrispondente (facendo piegare le ginocchia al bambino appoggiato sul dorso si può notare che le due ginocchia non sono allo stesso livello), con un asimmetria delle pieghe cutanee della natica, con una limitazione dell’abduzione dell’anca interessata (ovvero una difficoltà nel divaricare).
- Nel bambino che cammina: l’effetto del peso corporeo tende a lussare l’articolazione, producendo un accorciamento dell’arto corrispondente e quindi una zoppia. Il bambino è costretto a camminare sull’avampiede.
- Nell’adulto si possono verificare due condizioni, a seconda che l’anca sia lussata oppure no. Nel primo caso, i problemi sono più spesso a carico della colonna (iperlordosi) e del ginocchio (valgo), che vengono costretti ad un sovraccarico funzionale di compenso. Nel secondo caso, un anca sublussata o centrata ma con un acetabolo poco profondo (displasia residua) può sviluppare precocemente un artrosi severa, che differisce da quella primaria per la grave limitazione della rotazione esterna e per l’importante accorciamento dell’arto.
Quali esami sono utili?
La diagnosi neonatale di dispalsia dell’anca è essenzialmente ecografica, perche la testa femorale inizia a ossificarsi (e a comparire dunque in un’eventuale radiografia) solo attorno al 5° mese. Un’ecografia dell’anca a 6-8 settimane dalla nascita a scopo di screening è altamente raccomandata, anche in assenza di alcun sospetto, perchè solo una diagnosi precoce può permettere un idoneo trattamento, evitando le note sequele invalidanti.
Nell’adulto la radiografia dell’anca in due proiezioni standard è solitamente sufficiente a dimostrare gli esiti della displasia. Solo in previsione di un intervento chirurgico può essere utile completare la valutazione con alcune proiezioni radiografiche speciali (proiezione di falso profilo, anteroposteriore con anca in abduzione) o addirittura con una TAC.
Come si cura?
In età neonatale è possibile ricondurre un anca displasica ad un’anca normale o quasi attraverso l’impiego di divaricatori. Raramente, e di solito in caso di diagnosi tardiva, sono necesarie manovre di riduzione e successive ingessature.
Nei casi ribelli alle terapie incruente, in verità eccezionali, il chirurgo ortopedico pediatrico può ricorrere ad interventi di riduzione cruenta associata ad osteotomie femorali o pelviche. Vi è un generale consenso nel non cercare di ridurre le anche francamente lussate in bambini di età superiore a 8-10 anni, perchè vi sono concrete possibilità che l’anca ridotta chirurgicamente in tempi tardivi sia negli anni più dolorosa di un anca lussata.
Il paziente adulto displasico deve cercare in ogni modo di prevenire l’evoluzione artrosica, che è particolarmente rapida per le anche sublussate e per quelle centrate affette da una grave displasia residua. La norma di vita fondamentale è mantenere un basso peso corporeo, evitando assolutamente il sovrappeso. Le attività fisiche che gravino sugli arti inferiori (per es. jogging) vanno eliminate a favore di attività che consentano di scaricare le anche (per es. nuoto). Il mantenimento di un buon tono muscolare gluteo attraverso esercizi mirati può contenere o persino neutralizzare la tendenza alla claudicazione.
Nelle anche displasiche centrate, in cui vi sia un’importante displasia residua ma ancora nessun segno di degenerazione artrosica, sono possibili interventi chirurgici correttivi, quali le osteotomie di riorientamento. Queste procedure, da riservarsi a casi altamente selezionati solitamente in età giovane-adulta, hanno lo scopo di migliorare il rapporto tra i capi articolari e di prevenire o ritardare l’insorgenza dell’artrosi. Quando i segni iniziali dell’artrosi sono già evidenti, ma la funzione articolare è ancora conservata, è opportuno valutare l’indicazione ad un’osteotomia di Chiari, osteotomia pelvica “palliativa” che ha la finalità di aumentare la copertura della testa femorale e di rallentare così la progressione della malattia.
Quando l’anca sia ormai artrosica e dolorosa, la protesi costituisce l’unica soluzione realmente efficace. Poichè il tasso di complicazioni in questa chirurgia è superiore a quella dell’artrosi primaria, l’indicazione va valutata con cura. Le anche displasiche lussate bilaterali, che in genere sono ben tollerate dai pazienti, andrebbero protesizzate solo quando veramente invalidanti.
Bibliografia:
– Dezateux C, Rosendahl K. Developmental dysplasia of the hip. Lancet. 2007 May 5;369(9572):1541-52.
– Yanagimoto S, Hotta H, Izumida R, Sakamaki T. Long-term results of Chiari pelvic osteotomy in patients with developmental dysplasia of the hip: indications for Chiari pelvic osteotomy according to disease stage and femoral head shape. J Orthop Sci. 2005 Nov;10(6):557-63.
– Numair J, Joshi AB, Murphy JC, Porter ML, Hardinge K. Total hip arthroplasty for congenital dysplasia or dislocation of the hip. Survivorship analysis and long-term results. J Bone Joint Surg Am. 1997 Sep;79(9):1352-60.